La grande distribuzione determina il prezzo dell'80% dei prodotti. L'agricoltura impiega il 40% della forza lavoro ma concorre solo al 3,5% del Pil mondiale. E i coltivatori sono in maggioranza poverissimi.
Michil Costa*
Cocomeri, cocomeri al ghiaccio. Chi non ricorda i venditori di cocomeri a Rimini d'estate. Nel tratto di strada che percorriamo da Nardò a Gallipoli, sembra siano i cocomeri stessi a lanciare strazianti urla d'aiuto. Il contadino è seduto su un masso, lo sguardo torvo, le mani rugose consunte, un toscano ammezzato in bocca. "Mai è successo" ci dice sconsolato, "mai il prezzo dei cocomeri è stato così basso; a prenderli su ci rimetto". Pesano fino a 40 chili, ortaggi talmente generosi da essere considerati frutti. "Bisogna scavare buche da mezzo metro, farci cadere i semi; c'è da irrigare, come figli miei li ho seguiti, e ora? Tempo sprecato, soldi buttati". Per la gioia di gabbiani e cani randagi nessuno li raccoglierà. "I cocomeri russi costano meno, e quelli quadrati ancora non li facciamo". Pensavo scherzasse, il coltivatore. I giapponesi invece fanno crescere i "meloni d'acqua" in contenitori quadrati; prendono la forma del recipiente, ciò ne facilita il trasporto e la conservazione. (e aiuta il marketing). Gli 80 euro sembra non siano troppi per un tocco di originalità.
Ci spostiamo a pochi chilometri di distanza, Ostuni. Il proprietario ci racconta dei suoi ulivi. Hanno due, tremila anni. Le olive vengono raccolte con delicatezza dall'albero, non sotto l'albero a oliva caduta. L'olio costa 6 euro al chilo. Troppo. Non si trova un acquirente. Né per l'olio né per le nere olive. Il terreno è in vendita. Interessa a qualche americano: per farci la villetta. Stessa sorte spetta ai pomodori di Pachino, simbolo dell'eccellenza sicula: vengono lasciati marcire sulle piante. I meloni li mangiano le capre, l'uva non conviene nemmeno distillarla. I mandarini e i limoni vengono pagati 15 centesimi. Meglio lasciarli ammuffire. Il mercato c'è, ma la grande distribuzione e pochi produttori determinano il prezzo di vendita dell'80% della produzione mondiale, accordandosi tra loro. I pelati arrivano dalla Cina, l'olio dalla Spagna, dalla Tunisia, dalla Siria Nei supermercati siciliani le arance brasiliane fanno bella mostra di sé. Dovremmo scandalizzarci. Eppure gli albergatori sudtirolesi comprano il latte bavarese, lo strudel viene preparato con le mele di provenienza australe, le pere Williams dal Cile, e anche i - pochi - maiali rimasti in Südtirol possono fare vita agiata: ben pochi verranno usati per lo speck made in Südtirol. Quel che conta è che i conti tornino. Deve costare poco.
Oggi l'agricoltura vale solo 2500 miliardi di dollari, il 3,5% del Pil mondiale. Raggiungerà il 7-10% nei prossimi 10-15 anni. Il rischio di una nuova bolla speculativa è alto, ma il mercato della terra è meno volatile dei futures, più solido dei bond europei. Non è un caso che per la prima volta dal 1911 i prezzi dei terreni edificabili scendano, mentre salgono quelli dedicati a fare crescere i frutti della terra. Ci sarà quindi la rivincita dell'ambiente? Sarebbe bello se a metterci e a ricavarci i soldi non fossero i soliti guru dell'alta finanza. Un miliardo di persone nel mondo soffre la fame e il 40% degli occupati mondiali sono agricoltori, la maggioranza di questi poverissimi. Si investe in terre ma la concentrazione del potere è sempre in mano a pochi eletti. George Soros e compagnia bella continueranno a controllare il mercato, i piccoli soccombono, in Italia un quarto degli agricoltori negli ultimi 5 anni ha sospeso la propria attività. Cosa possiamo fare? Noi possiamo rinunciare ai lamponi a Natale e alle mele d'oltreoceano. Lo speck comprarlo solo se ha la denominazione Bauernspeck, il latte dai contadini di montagna. Il tonno se proviene da una pesca sostenibile, le banane e il caffè da commercio equo e solidale.
Le monoculture fanno danni anche in Südtirol: dobbiamo diversificare e scegliere con attenzione. Le lacrime di quel contadino pugliese ci riguardano direttamente. Della sua sventura anche noi ne siamo responsabili. Un mondo migliore è possibile, il tempo però è scaduto. L'attuale modello agroalimentare è un fallimento, va cambiato. E il cambiamento deve iniziare da noi. Subito.
* Proprietario del ristorante la Stua di Michil, a Corvara in Badia (Bz), con tre forchette del Gambero Rosso grazie a scelte precise: cibi biologici, prodotti localmente e frutto di commercio equo.