In jeepney nella foresta pluviale di Palawan. Immersioni tra El Nido e Boalboal. Itinerari indigeni sulla Cordillera di Luzon
Si chiama Puerto Princesa, ma non ha nulla di principesco. È il capoluogo dell’isola di Palawan, la prosecuzione geografica del Borneo. La regione con la natura più integra delle Filippine, un’isola lunga 400 chilometri e larga 40, circondata da una miriade di isolotti. L’aereo che la raggiunge da Manila concede scorci su atolli, lagune, reef e monti coperti di giungla sudante. Palawan è chiamata ‘la frontiera vergine’ perché custodisce il 40% delle mangrovie, un terzo delle barriere coralline ed è in gran parte foderata di foresta pluviale, in un Paese dove le selve umide sono state ridotte dall’originale 96 ad appena il 7% del territorio. Puerto Princesa è una città sonnacchiosa dove l’Asia corteggia i Mari del Sud tra mercati grondanti di cibi esotici, una comunità vietnamita di boat-people fuggiti da Saigon dopo la vittoria dei vietcong e una baia disseminata di colorate barche a bilanciere. Il traffico è indolente, quasi completamente formato da moto-taxi con sidecar di arrugginita latta multicolore, personalizzati con nomi di donne - Maria, Jessica, Monique: ansimanti, vanno una velocità definibile “a passo d’uomo”, se non fosse che qui l’umanità sudaticcia si muove a ritmi molto più lenti. Il quartiere dei pescatori, formato da precarie palafitte in legno, è un libro aperto sui mali delle Filippine che - secondo The Economist – sono il Paese più globalizzato. Colonizzate per quattro secoli dagli spagnoli e per cinquant'anni dagli americani, non hanno una propria identità. Non c’è memoria delle religioni tribali, soppiantate 500 anni fa dal cattolicesimo. Il vuoto culturale dà spazio alle multinazionali. Si pasteggia a Cola-Cola, ci si tonifica con Nescafe o tè Lipton, ci si lava le mani con Palmolive e i denti con Colgate. La società resta di tipo coloniale: il 10 per cento della popolazione detiene metà del Pnl e il 90 per cento delle terre. Il potere favorisce l'oligarchia e ostacola la nascita della classe media, il nuovo ceto alimentato dalle rimesse dei filippini che lavorano all'estero, il 10 per cento degli 80 milioni di abitanti. La gestione privata dei trasporti fa sì che i ricchi viaggino in aereo e aliscafo e i poveri su bagnarole che danno a Manila il triste primato per i decessi in mare.
I trasporti sono uno dei grandi problemi delle Filippine, ce ne accorgiamo quando vogliamo lasciare Puerto Princesa. Per visitare il vicino St Paul Subterranean National Park, un fiume sotterraneo che si inoltra per 7 km nel cuore della montagna tra bizzarre formazioni calcaree, è sufficiente una breve escursione. Ma per viaggiare a nord, nell'interno dell’isola, bisogna prendere una jeepney. Nerbo del trasporto terrestre filippino, le jeepney sono colorati gipponi assemblati con motore giapponese 4x4 di seconda mano e carrozzeria in lamiera stampata artigianalmente a Manila; costano circa 3000 dollari e possono trasportare anche trenta persone, quando non c’è più posto tra le panche in legno allestite all’interno i passeggeri viaggiano sul tetto. Da Puerto Princesa partono all’alba e non si sa quando arrivano, perché affrontano un’esperienza da survival tra polvere e fango su piste disastrate. Non ci sono orari, i tempi del viaggio possono raddoppiare per improvvise deviazioni, guasti, gomme forate e impantanamenti. Per godere le meraviglie naturali di Palawan bisogna avere un forte spirito di adattamento. In cinque ore raggiungiamo Port Barton, un villaggio di pescatori con una lunga spiaggia chiusa da una baia. Qui per 10 dollari a notte affittiamo un bungalow in riva al mare con bagno e terrazza con amaca. E per altrettanto noleggiamo tutto il giorno una barca a bilanciere con marinaio che ci porta alle vicine isole di Exotic (ha fondali ideali per lo snorkeling), Paradise e Doble. Il giorno dopo scopriamo le Port Barton Falls con un trekking di un’ora e mezza tra la foresta pluviale: fatica compensata da un tuffo nell’acqua fresca della pozza formata dalla cascata. Proseguendo a nord il paesaggio diventa fantastico tra fiumi orlati di palme e di mangrovie, risaie arate dai bufali, cespugli di ibischi con fiori di tutti i colori, capanne di bambù e un’infinità di farfalle gialle. In altre cinque ore di jeepney arriviamo a Taytay, un porto adagiato in una baia collinosa, circondata di isole e dominata da una fortezza spagnola del Settecento.
Taytay è la base per andare a El Nido: con una barca a bilanciere (da evitare se il mare è grosso) o in sei o sette ore di jeepney tra salite fangose, buche e guadi. È in uno di questi ruscelli che la nostra jeepney sprofonda, ci vogliono due ore di lavoro, alternando colpi di pala a movimenti di assi di legno per far uscire il mezzo dal pantano.
El Nido offre uno dei paesaggi più favolosi delle Filippine: acque blu chiuse tra spiagge fissate da palme e una ventina di isole montagnose con piccoli arenili, giungla e pareti a picco. Nel villaggio, tra il lavoro dei pescatori e una pletora di guesthouse economiche, i ragazzi giocano a pallacanestro in riva al mare: è lo sport nazionale, ci sono campi di basket anche negli angoli più sperduti del Paese. A largo ci sono i resort delle isole di Miniloc e Lagen (ad altoimpatto). Miniloc ha una spiaggia bianca e due lagune chiuse tra rocce vulcaniche e foresta: le si esplora in kayak per tuffarsi in fondali trasparenti.
El Nido è, con la penisola di Moalboal a Cebu, il migliore indirizzo per le immersioni. Le Filippine sono una mecca dei sub perché vantano 7107 isole, 40.000 kmq di barriere coralline, un’infinità di X-spot e la maggiore biodiversità marina. É nel triangolo tra Filippine, Indonesia e Nuova Guinea - la più grande regione insulare della Terra con oltre 20.000 isole - che ha avuto origine la maggioranza delle specie che popolano gli oceani Pacifico e Indiano. Perché qui la varietà di habitat ed ecosistemi, rimasti stabili attraverso molte ere geologiche, ha permesso l’evoluzione di migliaia di forme di vita.
Quando? Il periodo migliore per visitare Palawan va da dicembre a maggio, la stagione secca, calda ma senza zanzare, è consigliata la profilassi antimalarica, soprattutto a chi viaggia nell’interno dell’isola tra maggio e novembre, la stagione umida.
Moalboal, sulla costa sud-occidentale dell’isola di Cebu. è una destinazione di prim'ordine per subacquei e fotografi perché i suoi fondali ospitano reef e pareti dalle mille sorprese e una miriade di forme di vita dai colori incredibili: coralli e spugne di tutte le specie e dimensioni, grandi gorgonie e alcionarie. E le immersioni si svolgono nella massima tranquillità grazie alla temperatura dell'acqua che non scende mai sotto i 26 gradi. Una visibilità che oscilla tra i 10 e i 30 metri e la possibilità di immersione fino a 60 metri. Lo spot più famoso e spettacolare della regione è Pescador Island, una piccola isola ‘tuttoparete’ ricca di fauna dove anche i più inesperti possono immergersi tra coralli, spugne e crostacei. Il Sampaguita Reef è invece una parete sommersa di 9 km, con un drop off di tetti e piccole tane, ricco di madrepore, spugne e nudibranchi: è alla portata anche dei principianti. La maggiore concentrazione di gorgonie è nella barriera al largo della candida White Beach. Notevole anche Sanken Island: una secca con il cappello a 26 metri di profondità, dove si incontra la maggiore varietà di pesci.
La Cordillera Centrale, nel nord dell’isola di Luzon, riserva piacevoli sorprese paesaggistiche ed etniche e la possibilità di lunghi trekking tra alcune delle più belle risaie terrazzate del mondo. La destinazione più interessante è Banaue: raggiungibile da Manila in 10 ore di autobus su strada asfaltata e dotata di alberghi per tutte le tasche. Situata a 1200 metri sul livello del mare ospita risaie di montagna così spettacolari da essere dichiarate dall'Unesco patrimonio dell'umanità. Da qui in un’ora di triciclo a motore si raggiunge il sentiero che porta a Batad: in due ore a piedi tra la foresta pluviale e gigantesche felci arboree, si arriva al villaggio costruito in mezzo a terrazze coltivate a riso, dove si può pernottare in semplici guesthouse. Banaue è un centro della cultura Ifugao, una minoranza etnica che ha mantenuto viva l’arte della scultura, della tessitura e delle cesteria. Chi è interessato alla loro tradizione e a intraprendere trekking più impegnativi sulla cordillera, va a Bontoc: a circa 3 ore di jeepney su pista. Il locale Museo Ifugao propone la ricostruzione di un villaggio tradizionale, costumi, tessuti, manufatti, cesterie, statue e antiche foto delle locali popolazioni etniche. Operatori locali organizzano trekking guidati di diversi giorni tra i villaggi Ifigao e le risaie terrazzate sparse per la cordillera.