Tra canyon e deserti nei parchi nazionali di Utah e Arizona. Meta top dell'ecoturismo con 350 milioni di visitatori l'anno. Troppi!
Da Las Vegas verso lo Utah la highway 15 corre dritta come il destino di un pioniere. S’incanala in una sequenza di canyon, dove il grigio e il marrone smorti dei paesaggi del Nevada lasciano il posto alle tinte calde che annunciano lo Utah. Si cambia pianeta. Dai casinò e dai bordelli di Las Vegas allo Stato dei mormoni: la comunità più puritana degli Stati Uniti. Il mio primo approccio coi mormoni è stato sulle strisce di Tex Willer: gli uomini erano vestiti di nero, portavano la barba lunga e, mentre attraversavano in carovana la Monument Valley per raggiungere la loro terra promessa, venivano attaccati dagli indiani. Sono diversissimi. Nessuno porta la barba. Vestono jeans, maglietta e un cappello da baseball che non si tolgono neanche quando mangiano. Lo si nota da McDonalds, dove l’unica cosa che li distingue dagli altri americani è la preghiera che recitano in silenzio prima di addentare l’hamburger. Si spostano su dei pick-up fiammanti e gli indiani li hanno confinati nelle riserve.
Tra il Sud dello Utah e il Nord dell’Arizona c’è la maggiore concentrazione di canyon del mondo. Si viaggia attraverso un museo geologico di proporzioni epiche. Nell’era Mesozoica, più di 200 milioni di anni fa, gran parte del West americano era sommerso dal mare. L’assestamento dello scudo del Pacifico (una delle zolle in cui si divide la crosta terrestre) sotto quello Nordamericano produsse un accartocciamento del continente che creò le Montagne Rocciose e gli altipiani - attorno ai 2000 metri - della regione che stiamo visitando. Rocce formate da strati di diversa composizione minerale: il prodotto di terremoti, eruzioni vulcaniche, calcificazione della sabbia, detriti alluvionali. Altipiani su cui il Colorado e altri fiumi hanno scavato per milioni di anni il loro letto tra la roccia modellando i paesaggi mozzafiato di Grand Canyon, Zion, Bryce, Canyonlands e altri luoghi meno noti. Un gioco della natura a cui hanno collaborato le forze erosive di vento, gelo e pioggia: responsabili di formazioni rocciose come i pinnacoli, gli archi e i butte (i monoliti a forma di camino della Monument Valley). Lo spettacolo più sensazionale è il Bryce Canyon: dal Sunset Point appare come un teatro naturale con catene di montagne che - a diverse distanze - formano la scena e le quinte, mentre centinaia di bitorzoluti quanto impettiti pinnacoli recitano un soggetto, mutato a ogni ora dalla luce del sole che tinge la pietra di rosa, arancio, rosso, giallo, viola. I pinnacoli sono il risultato di milioni di anni d’erosione: l’acqua provocata dallo scioglimento della neve (presente nel Bryce gran parte dell’anno) di giorno cola nelle fessure della pietra e la notte gela corrodendola.
Le mutazioni cromatiche della roccia sono una delle attrazioni dei parchi del West. Nello Zion, dal fondo valle la strada s’inerpica tra tornanti e magici colpi d’occhio su pareti squarciate da cascate, guglie e torri di pietra rosa, arancio e bianca. Il colore colpisce più della fauna. Si vedono cervi, scoiattoli, mufloni, antilopi e tacchini selvatici. S’incontrano rare mandrie di bisonti. E si può udire l’ululato del coyote. I ranger ci avvertono che se incontriamo un puma dobbiamo restare immobili: un avviso più utile a creare suggestioni adrenaliniche che a salvarsi la vita. racconta Dean Megee, 51 anni, viso aperto, cappello da cowboy e infallibile autista di fuoristrada tra le piste pietrose del Canyonlands. Questo parco è l’unico a dare al visitatore il senso dell’esplorazione. Non tanto per i free-climbers che arrampicano su vertiginosi spigoli. Né per le incisioni rupestri degli indiani Anasazi e Ute. Ma per il senso di libertà che si gode man mano che la jeep arranca sulle pareti del canyon mentre l’occhio spazia verso orizzonti sterminati e l’orecchio ascolta il silenzio. In un giorno abbiamo incontrato una sola auto. La jeep sosta sull’orlo di un precipizio di 200 metri: sotto, il Colorado River disegna un’ansa a ferro di cavallo tra strapiombi di roccia rossa.
La bald eagle, l’aquila calva (Haliaeetus leucocephalus) endemica del Nord America con un'apertura alare di 3 metri, è il simbolo degli Stati Uniti fin dal 1782. E' stata per decenni a rischio di estinzione. Cacciata dai collezionisti di trofei e dagli allevatori che l'accusavano di predare il bestiame, negli anni 20 era già scomparsa dagli Stati dell'Est. Il colpo di grazia arrivò con l'introduzione negli Stati Uniti del DDT tra 1942 e 1972. Il DDT è un micidiale nsetticida che danneggia le uova di diverse specie di uccelli: nel caso dell'aquila calva impediva la schiusura di due terzi delle uova. Quando nel 1972 fu vietato il DDT e furono introdotte leggi per la sua tutela ne sopravvivevano meno di 100.000 esemplari concentrati in Alaska, Canada e negli Stati del Nord Ovest. Per sollecitare la sua protezione Andy Wharol la immortalò in uno dei suoi celebri multipli. Finalmente nel 2007 il Wwf l’ha dichiarata fuori pericolo e oggi bald eagle è tornata a volare nei cieli di gran parte del Paese.
Il Grand Canyon - la più grande gola del mondo con uno sviluppo di 444 km lungo il corso del fiume Colorado - è un museo geologico di proporzioni epiche. I diversi strati di roccia che compongono le sue pareti appaiono come un libro aperto sulla formazione del territorio del mitico Ovest degli Stati Uniti. Tra il Sud dello Utah e il Nord dell’Arizona si trova infatti la maggiore concentrazione di canyon del mondo. Nell’era Mesozoica, più di 200 milioni di anni fa, gran parte dell’Ovest degli Stati Uniti era sommerso dal mare. L’assestamento dello scudo del Pacifico (una delle zolle in cui si divide la crosta terrestre) sotto quello Nordamericano produsse un accartocciamento del continente che originò le Montagne Rocciose e gli altipiani - attorno ai 2000 metri di quota - della regione. Rocce formate da strati di diversa composizione minerale: il prodotto di terremoti, eruzioni vulcaniche, calcificazione della sabbia, detriti alluvionali. Altipiani su cui il Colorado e altri fiumi hanno scavato in profondità - per milioni di anni - il loro letto tra la roccia modellando i paesaggi mozzafiato di Grand Canyon, Zion, Bryce, Canyonlands, Capitol Reef e decine di altri luoghi meno noti. Uno straordinario gioco della natura a cui hanno collaborato le forze erosive di vento, gelo e pioggia: responsabili di bizzarre formazioni rocciose come i pinnacoli, gli archi e i butte. Questi ultimi sono i monoliti a forma di camino che caratterizzano il paesaggio della Monument Valley.
In 1530 m di dislivello - dai 720 m di quota a cui scorre il fiume Colorado ai 2250 m del South Rim, le pareti del Grand Canyon permettono di distinguere a occhio nudo fino a undici diverse stratificazioni rocciose. Si va dalla pallida pietra calcarea di Kaibab - depositata più di 250 milioni di anni fa - che forma l’attuale manto del burrone, allo scuro scisto di Vishnu della Inner Gorge. Quest’ultima è una roccia metamorfica modellata quasi 2 miliardi di anni fa dal ripiegamento della crosta terrestre a seguito della collisione tra gli scudi Nordamericano e del Pacifico. Delle quattro ere geologiche della Terra, solo le due più antiche - l’Archeozoica e la Paleozoica - hanno lasciato tracce leggibili sulle pareti del Grand Canyon. Nulla resta invece degli strati rocciosi depositati durante le più recenti ere Mesozoica (da 65 a 250 milioni di anni fa) e Cenozoica (fino a 65 milioni di anni fa): nel corso del tempo sono stati consumati dalle forze erosive. Secondo gli studi dei geologi americani, in passato le rocce del Grand Canyon raggiungevano l’altezza delle montagne dell’Himalaya. La loro veloce limatura è stata provocata - oltre che dai drastici mutamenti climatici e dall’impeto erosivo di mari e fiumi - dalla composizione stessa delle rocce. Mentre gli strati più profondi - e antichi - del canyon sono costituiti da pietra dura di origine vulcanica, le falde superiori - le più recenti - erano formate da rocce arenarie e calcaree di origine sedimentaria, alimentate da dune di sabbia, detriti e depositi lasciati dal prosciugamento del mare. Sull’altopiano formato dal fiume Colorado - un’area di circa 340.000 chilometri quadrati, più vasta dell’Italia - l’oceano si è ritirato completamente appena 10 milioni di anni fa.
Il fondo del Grand Canyon è, in realtà, il primo gradino geologico di quella che negli Stati Uniti viene definita Grand Staircase: una che, dalla più famosa gola del mondo, sale verso Nord al Kaibab Plateau e, attraverso lo Zion National Park e il Bryce Canyon, fino alla vetta del Brian Head Mountain (3394 metri). Il Bryce Canyon presenta uno degli paesaggi più sensazionali della regione. Appare come un teatro naturale con catene di montagne che - a diverse distanze - formano la scena e le quinte, mentre centinaia di bitorzoluti quanto impettiti pinnacoli recitano un soggetto, mutato a ogni ora dalla luce del sole che tinge la pietra di rosa, arancio, rosso, giallo, viola. Le migliaia di pinnacoli che formano il paesaggio lunare del Bryce Canyon sono il risultato di milioni di anni d’erosione: l’acqua - originata dallo scioglimento della neve (presente qui gran parte dell’anno) - durante il giorno cola nelle fessure della pietra e la notte gela corrodendola, squarciandola.
Un’altra curiosità geologica della regione sono gli archi di roccia racchiusi oggi nell’Arches National Park. La loro formazione iniziò 300 milioni di anni fa, durante l’era Paleozoica, quando l’oceano Pacifico sommerse gran parte dell’Ovest americano. L’evaporazione dell’acqua marina lasciò depositi di sale. L’alternarsi di fasi di allagamento con altre di prosciugamento creò una crosta salina spessa - in alcuni casi - fino a centinaia di metri. Detriti, erosi dalle vicine montagne, coprirono la superficie salina con strati rocciosi a volte alti anche più di mille metri. La pressione, provocata dall’enorme peso della roccia, frantumò le incrostazioni saline aprendo fratture nel terreno, caverne e spettacolari archi di pietra.
Nell'Ovest degli Stati Uniti è stato registrato un aumento della popolazione di puma (Puma concolor), il leone di montagna presente in passato in tutto il continente. In questa macro-area è quindi da considerarsi terminata la fase di declino - provocata da caccia indiscriminata e da mancanza di prede - che da oltre un secolo colpiva questo felino americano di media taglia. 27/06/2012