Itinerario dell’Erg Ubari a Ghat, tra dune, laghi, bizzarre formazioni rocciose e incisioni rupestri. La regione più spettacolare del Sahara
I laghi, circondati di palme da datteri, che appaiono all’improvviso tra le dune rosate dell’Erg Ubari, valgono da soli un viaggio nel deserto libico. Una delle regioni più spettacolari del Sahara, dove vaste formazioni di dune, plaghe pietrose e montagne bitorzolute convivono coi costumi dei Tuareg. E pitture e incisioni rupestri testimoniano l’epoca in cui il Sahara era fertile e popolato da tutti gli animali africani. I laghi Mahfu, Gabraum e Um al-ma oggi sono spopolati, ma fino al 1987 erano abitati da centinaia di beduini che vivevano coltivando datteri e pescando una varietà di gamberetti, seccati ed esportati in tutto il continente. Per ordine del governo furono trasferiti nella vicina Germa per condurre un’esistenza meno dura. A Gabraum è rimasta una bottega che serve tè alla menta e noleggia gli sci per sfrecciare tra la sabbia dell’imponente duna che sovrasta il lago. Tolti gli sci si può fare il bagno tra le sue acque salate. I laghi sono alimentati da sorgenti d’acqua dolce, la forte evaporazione del deserto fa però si che i residui salini si concentrino. Un fenomeno ben visibile all’oasi Mandara, dove il liquido è evaporato lasciando un desolato specchio di sale che, visto da lontano provoca un miraggio: il sole, filtrato dai cristallini, dà l’illusione di una distesa acquosa. Il serpeggiare dell’acqua tra le dune trasforma invece il lago Um al-ma in uno straordinario scenario tropicale. Abbagli visivi tra giganteschi semicerchi di sabbia che riconducono alla realtà sahariana. Ci s’inoltra nell’Erg Ubari da Germa, dopo aver visitato il museo (illustra le vicende geologiche del deserto) e i resti di Garama, la città dei Garamanti, il popolo che abitava l’interno della Libia al tempo dei romani.
Lasciata Germa in direzione sud-ovest, si raggiunge Mathendushj, il millenario punto di sosta delle carovane in viaggio tra il Ciad e la costa. E’ uno dei maggiori siti archeologici del Sahara con incisioni rupestri che raffigurano rinoceronti, elefanti, giraffe, orici, cani, varani, coccodrilli e animali mitici come i gatti mammoni, mostri dalle sembianze feline. Da qui ci si avventura sull’altopiano pietroso del Messak Mellet. La sua superficie di arenaria, annerita dall’ossidazione, si è frantumata nell’ultima glaciazione originando un paesaggio disperante di ciottoli con un lato nero e l’altro rosso sabbia. Si fa una sosta a Taleshout, il Sito della Placenta: le rocce che riparano uno spiazzo sabbioso dove accamparsi, ospitano graffiti, antichi di 10.000 anni, che raffigurano animali con la loro placenta. Ripreso il viaggio, lo scenario lunare del Messak Mellet è interrotto, dopo molte ore di jeep, da camini di arenaria che ricordano la Monument Valley degli Stati Uniti. Annunciano il reg, un fondo piatto di sabbia consistente con sassolini multicolori, su cui la jeep si lancia in velocità. Fino al Wadi Berjui, il corso secco del torrente che costeggia l’Erg Murzuk, una formazione di dune (alte fino a 150 metri) con un diametro di 350 chilometri: un pilota esperto ci mette una settimana ad attraversarlo. Le nostre jeep si lanciano invece su un altro mare di sabbia, il più facile Erg Uan Kasa. Una distesa di dune bianche, gialle, dorate, arancio, rosso mattone tra cui le jeep si arrampicano per ore cercando un guado. E’ il deserto dell’immaginario, ma al centro dell’erg migliaia di minuscole conchiglie testimoniano che anche qui un tempo c’era un lago. Sono gli ultimi cordoni di dune prima dell’Acacus Tadrart: il deserto di montagna al confine con l’Algeria e il Niger. Una vasta regione di falesie formate da rocce sedimentarie: rilievi erosi per millenni dal vento, che ha modellato torri, archi e pinnacoli. Come il ciclopico arco di Fozzijaren su un altopiano a 800 metri. O le maestose colonne di Wadi Techuinat. Tra le plaghe dell’Acacus si incontrano le carovane dei Tuareg che, con i loro dromedari, si spostano tra le frontiere di Libia, Alberia, Niger e Mali. Si arriva quindi a Ghat, dominata dal forte Vittorio Emanuele, costruito dagli italiani, per avventurarsi tra il dedalo di vicoli della città vecchia.
L’immensa regione occupata da dune, pietraie e plaghe desertiche (il Sahara, esteso dal Mar Rosso all’Atlantico, copre una superficie di 9.000.000 kmq) in passato fu un territorio fertile con praterie e foreste popolate di fauna selvatica, come dimostrano le incisioni rupestri che in diverse aree sahariane raffigurano elefanti, giraffe, felini e gazzelle. Il processo di desertizzazione è avvenuto in migliaia di anni a seguito di eventi naturali: dell’erosione provocata dal vento e dall’alternanza di lunghe stagioni secche (siccità) con altre umide. A questo processo naturale si è però sommata la desertificazione, l’inaridimento del suolo provocato dall’intervento dell’uomo. Negli ultimi 50 anni la frontiera meridionale del Sahara è avanzata di centinaia di km. Negli anni Settanta la carestia del Sahel provocata da una eccezionale siccità attirò l’attenzione dell’opinione pubblica: fu la conseguenza della migrazione verso nord di migliaia di allevatori con le loro mandrie, attirati dalle copiose piogge che nel decennio precedente aveva rinverdito la regione, e cacciati dalle aree più meridionali da sempre più estese colture per la vendita. I campi di arachidi, cacao, cotone e caffè – spesso proprietà di multinazionali – sono da 50 anni la prima causa delle carestie nel Sahel e in Africa occidentale: i governi corrotti di questi Paesi le preferiscono per l’alta redditività, ma i prodotti per la vendita tolgono spazio alla coltivazione di cereali, utili a sfamare le popolazioni, provocano carestie e in alcuni casi il drastico abbassamento dell’aspettativa di vita di intere etnie africane, come è successo ai Mandingo della Guinea. Ma torniamo agli allevatori nomadi che, ammassando il bestiame nelle regioni semi-aride a sud del Sahara, distrussero la vegetazione e, al ritorno ciclico della fase secca, provocarono una siccità con risvolti drammatici. Una crisi mai risolta che coinvolge ancora le popolazioni di Mali, Niger, Chad e Sudan, spinte sempre più a sud alla ricerca di pascoli e terre da coltivare.
30/04/2012 Enviromental Research Letters ha pubblicato una mappa delle falde acquifere dell'Africa da cui risultano riserve idriche nel sottosuolo per 660.000 km cubi, 20 volte più dell'acqua dolce contenuta in tutti i laghi africani messi in insieme. E i maggiori depositi si trovano, a grande profondità, in Algeria, Libia, Ciad, Egitto e Sudan. Cioè nell'area tra deserto del Sahara e Sahel, la più tragicamente arida. Lo sviluppo di quest'area, tra le più povere del mondo, è quindi legata agli investimenti per portare in superficie l'acqua. In molte aree centrali e australi del continente, le falde si trovano pochi metri sotto la superficie e potrebbero essere sfruttate con empiriche pompe a mano: per risolvere il problema dell'aridità e implementare la produzione agricola (e la conseguente fornitura di cibo a prezzi ragionevoli) basterebbero piccoli investimenti e, soprattutto, volontà politica.
29/07/2013. Nonostante la penuria cronica di cibo, in tutto il continente africano sono coltivati meno del 50% dei terreni fertili: fonte Barca Mondiale.