Visita nel Paese caucasico a 100 anni dallo sterminio degli armeni dell'Anatolia, per scoprire una culla della civiltà cristiana e occidentale tra preziosi musei e cento chiese romaniche in una terra ricca di richiami biblici.
A Yerevan il fulcro dell’identità armena è il Memoriale del Genocidio, eretto nel 1967 per non dimenticare il primo olocausto del Novecento. L’Armenia venne annessa dagli Ottomani nel 1502. Dopo quattro secoli di dominio ottomano, i problemi nacquero con la crisi dell’Impero e il sorgere del nazionalismo turco. In risposta al desiderio di indipendenza nel 1909 vennero uccisi 30.000 armeni in Cilicia. All’entrata in guerra della Turchia, nel 1915, lo sterminio divenne sistematico: un milione di uomini furono passati per le armi e mezzo milione di donne e bambini vennero deportati nel deserto siriano dove morirono di stenti. I pogrom continuarono fino al 1922. In totale, secondo la fonte armena, sono state uccise più di due milioni di persone. Già prima del negazionismo nazional-islamista di Erdogan, secondo Ankara invece non successe nulla e chi ha osato raccontare questa tragedia – come il premio nobel per la letteratura Orhan Pamuk e la giovane scrittrice Elif Shafak – è finito in tribunale e ha rischiato il carcere.
L’Armenia è un’isola di cultura europea nel Caucaso. Abovyan - la via dello shopping di Yerevan, con ragazze che indossano jeans, soprabiti in cuoio e tacchi a spillo passeggiando tra bistrot alla parigina e boutique di moda – sembra uscita dal Vecchio Continente. Dal profano al sacro, lasciamo la capitale per la vicina Echmiadzin, dove frotte di seminaristi sfilano davanti alla più antica cattedrale del mondo. Perché qui cristianesimo fa rima con identità. A Echmiadzin nel 303 fu fondata la prima Chiesa nazionale cristiana. L’Apostolica Armena, detta anche ‘Gregoriana’ in onore del suo fondatore San Gregorio Illuminatore (240-332), una chiesa autonoma con riti cantati, croci scolpite nella pietra, il pane azzimo usato per l’Eucarestia, il digiuno del sabato, occasionali sacrifici di animali sugli altari e simboli zoroastri (l’antica fede persiana) nei templi.
L’Armenia fu una culla dell’umanità e della civiltà occidentale. Nell’antichità i suoi regni andavano dal Mar Nero al Caspio e al Mediterraneo, si estendevano su di un territorio undici volte maggiore dell’attuale Stato indipendente, che comprendeva Caucaso, Anatolia orientale, Libano e Siria settentrionali. Nella Valle di Razdan, vicino a Yerevan, gli scavi archeologici hanno portato alla luce arnesi in pietra datati mezzo milione di anni. E la prima menzione dell’Armenia risale a quattromila anni fa, quando la sua civiltà dei “sessanta regni” si confrontava con assiri e babilonesi.
Mille anni dopo il suo principale interlocutore divenne però la Grecia classica. A mezzora da Yerevan, a Garni c’è un intatto tempio ellenistico del I secolo dopo Cristo. Gli armeni condividono molti caratteri con i greci: dai sapori della cucina all’avversione per i turchi, dal calore umano al cristianesimo in una regione dominata dall’Islam. Atene fu la prima capitale a riconoscere l’Armenia indipendente (dall'Unione Sovietica) nel 1991.
Povero ma dignitoso con un forte carattere nazionale - con appena tre milioni di abitanti ha lingua e alfabeto propri - il Paese rinasce dalla crisi seguita alla fine dell’Unione Sovietica, anche grazie alla diaspora armena che investe a Yerevan e ha creato un fondo per il recupero del patrimonio artistico. Tra Europa e Stati Uniti sono sette milioni i cittadini di origine armena. Dal cantante Charles Aznavour al mercante Calouste Sarkis Gubelkian, mecenate della maggiore fondazione culturale del Portogallo. Fino alla comunità di Venezia: erede degli armeni che nel XVI secolo fuggirono a Cipro dalla Cilicia e, dopo la conquista turca dell’isola, seguirono la flotta veneziana nella laguna.
Ecco perché molte tele esposte a Yerevan nella Galleria Nazionale di Arte raffigurano Venezia. Il museo è in piazza della Repubblica, ellittica e circondata da monumentali edifici in tufo e basalto rosa in cui si mescolano gli stili architettonici armeno e Soviet Empire, il neoclassico dell’era staliniana. Nasi importanti su volti familiari, gli armeni erano mercanti: sulla Via della Seta, trafficavano tra Venezia e India, tra Baltico e Africa orientale. Fabbricano ancora preziosi tappeti: li si acquista nei negozi di Abovyan. Il volto più orientale del Paese è invece lo Shuka, il mercato alimentare di Yerevan con decine di banchi di miele, spezie e frutta secca: noci, albicocche, fichi, pere e pesche sono interpreti di colorate quanto deliziose creazioni gastronomiche.
Se il Memoriale del Genocidio è la memoria dolorosa dell’Armenia, il Matenadaran, il Museo dei Manoscritti di Yerevan, è il suo cuore più antico: custode di 17.500 opere autografe tra cui i primi Vangeli illustrati del V secolo. Sono però il centinaio di chiese romaniche in tufo il capolavoro di questa struggente terra. Viaggiando tra vulcani, laghi e altopiani del Caucaso, in un paesaggio corrugato, tra montagne brulle, su strade tortuose che attraversano valli e canyon si scoprono i magnifici monasteri in pietra di Geghard, Noravank, Haghartsin e Khor Virap. Quest’ultimo, legato alle vicende di San Gregorio, è ciò che resta di Artashad, capitale armena fino al II secolo d.C. Il campanile di Khor Virap si staglia contro i 5165 metri del monte Ararat: simbolo dell’Armenia ma ora in Turchia. Per la Bibbia sulla sua vetta si incagliò l’arca di Noè, mentre ai suoi piedi sorgeva il Giardino dell’Eden.