Il più esteso e articolato complesso di cascate, dove un'immensa voragine inghiotte 260 cateratte
Iguaçu significa ‘acqua grande’ nella lingua degli indios Guaranì. Acqua grande per davvero. Qui, alla frontiera fra Argentina, Brasile e Paraguay, l'acqua sembra impazzire. Il rio Iguaçu, dopo esser scivolato giù dalla Sierra Colombo e aver attraversato per 800 km le pianure dello Stato del Paranà, esplode in mezzo alla foresta tropicale. La selva, venata da un'intricata rete di fiumi, si lacera all'improvviso. La monotonia di un'impenetrabile verde cede a un gioco di rocce grigie percorse dall'impeto di acque limacciose, che si gettano in un grande bacino blu, subito frantumato in mille rivoli di schiuma bianca che formano, su di un fronte di due chilometri e mezzo, il più esteso ed articolato complesso di cascate del Pianeta. Un'immensa voragine inghiotte 260 cateratte durante la stagione delle piogge (da novembre a gennaio): si riducono a 160 nei periodi di secca (da aprile a giugno). Il castello d'acqua di Iguaçu si estende su di un territorio due volte più ampio delle mitiche cascate del Niagara. É un paesaggio da paradiso con un rumore da inferno. Il frastuono è assordante: ai visitatori vengono distribuiti tappi di cera. In questa ferita della terra precipitano 30.000 metri cubi d'acqua al secondo. I saltos affondano in centinaia di laghi, dal loro impatto si libera un'umida foschia che ovatta l'intero paesaggio. Il vapore acqueo forma numerosi arcobaleni che risalgono dai bacini verso il cielo creando uno scenario che odora di magia. Una suggestione quasi mistica che portò le tribù Guaranì ad adorare Iguaçu. La grande acqua. La fonte cromatica della luce. La manifestazione, potente e terribile, della forza della natura.
Le cascate di Iguaçu costituirono la scenografia naturale di Mission. Il film ha ripercorso le vicende della ‘repubblica dei gesuiti’: fondata da alcuni missionari nella regione fra i fiumi Uruguay e Paranà, amministrò questa frontiera fra il 1609 e il 1768. Dopo la scoperta, nel 1542, delle cascate e della terra fra i fiumi da parte dell'esploratore spagnolo Alvares Nunes Cabeça de Vaca, i seguaci di Sant'Ignazio da Loyola raggiunsero la zona. Evangelizzarono i Guaranì creando un clima di convivenza molto lontano dai metodi drastici usati dai conquistadores della Corona di Spagna. Alla ‘repubblica dei gesuiti’ mise fine re Carlo III, che considerò il loro esperimento come una sfida alla sua autorità ed espulse i sacerdoti della Compagnia di Gesù da tutto il Nuovo Mondo e stanò, a colpi di cannone, la piccola comunità ribelle di preti e indios asserragliata sopra le cascate. I Guaranì fuggirono nella foresta riprendendo la loro vita di cacciatori-raccoglitori nomadi. Nel corso dei secoli, i Guaranì si sono mescolati con le diverse ondate migratorie che hanno investito la regione originando le popolazioni meticce che vivono in Paraguay (dove il Guarnì è la seconda lingua dopo lo spagnolo) e nella provincia argentina chiamata Misione, in ricordo del tempo dei gesuiti. Nelle foreste del Paraguay orientale vivono ancora gli ultimi Guaranì nomadi: sono 3000 individui che continuano a sostentarsi con caccia e raccolta, appartengono all'etnia Caingu, che non entrò mai in contatto con i missionari.
La Garganta del Diablo, Gola del Diavolo, è il salto più alto del complesso: vi fu girata la spettacolare scena finale di Mission. Un volo nel vuoto di 75 metri, molti più dei 58 del Niagara, ma nulla in confronto a quel che si incontra nello stesso continente, in Venezuela, 5000 chilometri più a Nord: il Salto Angel, una cascata che precipita per 972 metri, il record mondiale. Come tutte le meraviglie di frontiera, le cateratte di Iguaçu sono diventate il pretesto per una competizione fra Brasile ed Argentina.