In Botswana il maggiore delta interno del mondo crea la più stupefacente riserva faunistica africana
Prima di atterrare all’Eagle Camp, nel delta dell’Okavango, il pilota del Cessna perlustra l’area per accertarsi che non ci siano elefanti vicino alla pista. É una delle tante emozioni d’un viaggio in Botswana. Il delta dell’Okavango è un immenso zoo naturale, la maggiore e più stupefacente riserva faunistica africana. Un’area alluvionale grande come la Svizzera che il terzo fiume dell’Africa crea sfociando tra i contrafforti del deserto senza dune del Kalahari. Il più vasto delta interno della Terra. Un mosaico di lagune, isole, canali, foreste terrestri e selve di piante acquatiche. La vista dal cielo è mozzafiato, attraverso un paesaggio allo stesso tempo rigoglioso e desolato - punteggiato di mopani, acacie, palmizi e baobab - corrono liberi branchi di elefanti. Nell’Okavango ce ne sono sessantamila, più che in qualsiasi altra riserva africana. È il top per un safari fotografico. Qui in un sol giorno si avvistano elefanti, ippopotami, rinoceronti, ghepardi, leoni, zebre, giraffe, antilopi, facoceri, gazzelle, aquile e coccodrilli. Più difficile incontrare il leopardo, la fiera più schiva della savana. E i birdwatcher scrutano un cielo in cui volano 550 specie di pennuti: dai fenicotteri ai martin pescatore, dagli ibis agli aironi, dalle cicogne agli uccelli del paradiso con le piume colorate da una tavolozza rossa, viola, verde. Dall’Eagle Camp si visita il delta coi mekoro, canoe scavate in un tronco di ebano, un legno duro semi impermeabile che le rende un mezzo sicuro sull’acqua: sono usate dalle popolazioni Tswana fin dal Settecento. Spinti da una pertica, i mekoro scivolano tra acque basse e cespugli per avvistare coccodrilli, bufali, impala e aquile pescatrici. Quando arrivano gli ippopotami, la guida mimetizza l’imbarcazione tra l’erba alta per osservare il loro passaggio senza correre rischi. Perché, aldilà dell’aria pacioccona, questi pachidermi sono gli animali più pericolosi della savana: spesso rovesciano i mekoro usati dai locali provocando più vittime di leoni e coccodrilli messi insieme. Dalle escursioni in canoa sulle lagune agli itinerari in fuori strada nell’interno, il delta dell’Okavango offre emozioni continue.
Paese ricco - grazie a cospicui giacimenti di diamanti (forniscono un terzo del prodotto nazionale, metà del budget pubblico e l’80 per cento dell’export) e al basso impatto demografico (1.640.000 abitanti sui un territorio grande il doppio dell’Italia) – il Botswana ha tassi di crescita asiatici e un tenore di vita decente garantito da una media di 10.000 dollari di reddito annuo pro capite. Benessere che per il viaggiatore si traduce in sicurezza e assenza di gran parte dei problemi che assillano il resto del Continente Nero. C’è poca criminalità. Ma il puzzle di capanne di fango e parallelepipedi di cemento che forma Maun, capoluogo della regione e seconda città del Botswana dopo la capitale Gaborone, non trasmette un’immagine di equilibrio sociale. C’è più armonia nei primitivi villaggi abitati dalle etnie Twana e San. Questi ultimi, meglio noti come Boscimani, sono un popolo di cacciatori raccoglitori nomadi originari del deserto del Kalahari: alcune migliaia di loro, diventati sedentari, vivono in accampamenti nella regione del delta. Vicino a Savute si ammirano graffiti boscimani datati 3000 anni.
Democrazia parlamentare, il Botswana ha puntato da vent’anni sulla tutela dell’ambiente. Il 17 per cento del territorio è adibito a parco nazionale e una politica, a prima vista discriminatoria, contrasta il turismo di massa tenendo alti i costi: secondo le autorità è l’unico mezzo per evitare gli scempi ambientali avvenuti in Kenya. Per ridurre l’impatto del turismo è vietata la costruzione di alberghi e lodge in muratura nei parchi nazionali, dove si può alloggiare solo in campi tendati: ci sono giacigli spartani, ma anche tende cinque stelle al top del comfort. Si lasciano i campi prima dell’alba, si sorseggia un caffè davanti al fuoco prima di partire su gipponi scoperti o in barca per sorprendere gli animali nella luce calda del primo mattino. Si vede sorgere il sole tra l’erba alta della savana e la corsa di un branco di impala. S’incontrano termitai più alti di un uomo, straordinari esempi di architettura che questi insetti costruiscono compattando la sabbia con azoto e altri nutrienti.
A nord-ovest dell’Okavango, attraversando villaggi Tswana e un paesaggio in cui sparuti mopani si alternano a rilievi rocciosi, si raggiungono il fiume Chobe e l’omonimo parco nazionale. In chiatta si attraversano le aree alluvionali del Chobe per incontri ravvicinati con l’intero bestiario africano, qui arricchito da stormi di pellicani e numerosi iguana. E si vedono leoni impegnati a cacciare l’antilope. Qui la natura sembra ancora più imponente, a due ore di auto c’è Four Corners, il tratto dello Zambesi su cui si affacciano Botswana, Namibia, Zambia e Zimbabwe: chi lo attraversa riceve un certificato con foto che testimonia l’avventura nel cuore dell’Africa.
Il migliore spettacolo lo si gode durante le escursioni in 4x4 tra foreste e savane disseminate di giganteschi baobab. Tutte le escursioni avvengono con guide che parlano inglese e sono munite di manuali per riconoscere gli animali. I momenti migliori per avvistare la fauna sono l’alba e un’ora prima del tramonto. Nelle ore più calde si vedono elefanti, ippopotami e impala abbeverarsi. Gli ippopotami si immergono impacciati tra sbuffi e grida. S’incontra più facilmente la fauna vicino alle pozze, dove anche a un occhio ignaro si delinea chiara la gerarchia della savana. Nemmeno la feroce iena osa avvicinarsi al branco di elefanti. E la mandria di gnu (una goffa varietà di antilope) si confonde nella polvere: è in coda per l’ultimo turno, pur sapendo che abbeverandosi perderà un suo membro, sgozzato dalle fauci della iena dissetata o dall’imbattibile scatto del ghepardo. Questo bellissimo felino è la più fulminea tra le fiere, ma in Botswana c’è un’antilope ancor più veloce: la tsessebe.
Okavango, Africa's Last Eden di Frans Lanting (fotografo del National Geographic), Taschen, pp. 252, in lingua inglese.
Secondo l'ultimo rapporto (2011) dell'International Union for Conservation of Nature (Iucn), negli ultimi 20 anni si è registrata una progressiva diminuzione di tutti i grandi felini africani. I leoni hanno perso circa il 30% dei capi: ne restano circa 39.000 in Africa su di un habitat teorico di 4,5 milioni di kmq, sono totalmente scomparsi dall'Europa e sono ridotti a poche decine in India (nei parchi del Gujarat). Tra le cause del declino del re della foresta ci sono l'inquinamento che ne riduce la fertilità, l'uccisione da parte degli allevatori anche spargendo veleno sulle carogne di animali di cui i grandi felini si nutrono in assenza di prede. Non stanno meglio i ghepardi (unico grande felino addomesticabile) scesi da 45.000 a 33.000 capi (- 27%). E i leopardi: scomparsi da Sudafrica e dall'intera Africa occidentale sono stimati in alcune centinaia di migliaia, è il big cat più schivo, il più difficile da monitorare; deforestazione e caccia da parte degli allevatori sono la principale causa del suo declino. Restano invece solo 5000 esemplari del più raro leopardo delle nevi.