Nella regione più selvaggia della Malesia, incontro con Penan e Dayaki, popoli minacciati dall’avanzare dell’industria del legname
Il Sarawak (Borneo Malese) gareggia con l’Amazzonia nel processo di disboscamento, qui condotto da industrie giapponesi e sudcoreane. Uno dei polmoni della Terra - tagliato da fiumi gonfi e limacciosi - ha perso il 90% della sua foresta pluviale e nel 2010 ha fornito al mercato del legname tropicale il 25% della materia prima nonostante copra solo lo 0,5% dei territori boschivi tropicali.
Una selva umida che vanta una delle maggiori biodiversità: ogni 10 kmq contiene 1500 tipi di piante da fiore, 750 specie di alberi, 125 di mammiferi, 400 di uccelli e 150 di farfalle. E la catena montuosa - oltre i 2000 metri di quota - che delimita la frontiera tra Sarawak e Kalimantan (il Borneo indonesiano) è foderata da una delle foreste più impenetrabili. Per scoprire i suoi più maestosi paesaggi naturali si lascia la costa per il Mulu National Park, nel cuore del Borneo. Per arrivarci l’aereo sorvola per due ore una intricata foresta umida venata dal serpeggiare di fiumi in piena. La grande attrazione del parco è la rete di caverne, raggiungibili in piroga o con facili passeggiate su passerelle di legno tra alberi torreggianti segnalati con targhette come in un giardino botanico. Perché il Mulu National Park è una importante riserva per flora e fauna: comprende otto tipi di foreste con migliaia di specie vegetali e 170 varietà di orchidee selvatiche. Si visita la Deer Cave, la maggiore grotta del mondo secondo il Guinness dei primati, un antro lungo 800 e alto 127 metri, illuminato da grandi finestre naturali e popolato da 2 milioni di pipistrelli: poco prima del tramonto escono dalla caverna formando una linea continua e sinuosa che oscura il cielo per un’ora. É la più nota di una lunga serie di caverne. Le più spettacolari sono le attigue Wind Cave e Clear Water Cave: le si raggiunge in un’ora di piroga sul fiume Mulu e le si visita grazie a una rete di scalette metalliche che disegnano una gimcana tra stalattiti e stalagmiti. A Clear Water, usciti dalla caverna, ci si rinfresca nuotando in una pozza d’acqua profonda tre metri.
A metà strada tra la base del parco e Clear Water, si sosta in un villaggio Penan in riva al fiume. I Penan sono uno degli ultimi popoli di cacciatori raccoglitori nomadi, hanno sempre vissuto in simbiosi con la foresta, non praticano l'agricoltura e non conoscono la proprietà privata della terra. In questo villaggio il governo malese cerca di renderli stanziali grazie a una scuola e ad attività artigianali. Un’impresa controversa. I Penan hanno sempre vissuto in improvvisati ripari di rami e frasche a lato di selve di sago (una palma dal cui midollo ricavano farina alimentare): vi trascorrono massimo due settimane, per poi riprendere la caccia (con frecce velenose scagliate da cerbottane) a maiali selvatici, cervi, scimmie, leopardi nebulosi e orsi neri. Qui abitano in baracche di legno e lamiera e sopravvivono fabbricando borse e stuoie di ratan (fibra di bambù) intrecciato che vendono ai turisti. Ridotti a meno di 4000 di individui sono la tribù più smarrita e senza futuro del Borneo. Secondo Survival International, un'associazione per la difesa dei popoli tribali, il futuro dei Penan è minacciato soprattutto dall’avanzare dell’industria nipponica del legname che distrugge le foreste, il loro habitat. Negli anni Novanta i Penan hanno tentato di contrastare i bulldozer della Mitsubishi formando barriere umane sulle strade d'accesso ai loro territori: iniziative senza successo.
Diversamente dai Penan, gli altri gruppi etnici del Sarawak – come gli Iban (detti anche Dayaki) e gli Orang-Ulu - godono di buona salute, hanno discreti rapporti e alcune affinità con la maggioranza Malay che governa la Malesia. In passato i Dayaki hanno compiuto vere e proprie azioni di guerriglia sabotando ponti e strade e distruggendo macchinari dell’industria del legname, ma oggi sembrano più assimilati. E hanno imparato a vendere la loro diversità etnica ai visitatori desiderosi di esperienze e souvenir esotici. A un’ora di barca dalla base del parco, in direzione opposta a Clear Water, si raggiunge una longhouse Iban. Situate sulle rive dei fiumi, sono case villaggio lunghe fino a duecento metri in cui convivono decine di famiglie, centinaia di persone. Sono comuni a diverse genti del Borneo. Versando un obolo vi si può trascorrere la notte su una stuoia. É il modo migliore per osservare – nell’arco delle ventiquattrore - ritmi e stili di vita dei popoli della giungla. Durante le brevi visite proposte dal resort si assiste invece a deludenti show tra ricami, piumaggi variopinti e specchietti luccicanti. I gruppi tribali rappresentano la maggioranza dei 400.000 abitanti del Sarawak.
Nel cuore del Borneo di Redmond O'Hancon, Feltrinelli 2001.