Decalogo e indirizzi per un viaggio responsabile in un Paese dove le grandi attrazioni, Angkor Wat in primo luogo, si mescolano con la distruzione del tessuto sociale provocato dalla follia dei Khmer rossi.
di Elisa Terraneo
La Cambogia è conosciuta per i templi di Angkor, l’esempio più bello della gloriosa storia dei Khmer, spazzata via dalla follia dei Khmer Rossi che hanno lasciato una cruda eredità. Una realtà oggi contro cui i cambogiani combattono, con una grinta ammirevole e una voglia di riemergere che si vede soprattutto dall’attenzione verso il turista. L’accoglienza è eccellente, gli hotel, molto economici, fanno sentire chiunque un re. Ma dietro questa apparenza c’è molto altro, ben visibile, ma che spesso rimane dietro la maestosità dei templi, i veri protagonisti della scena.
Quando si mette piede a Siem Reap, città di arrivo di tutti i turisti, è inevitabile notare tantissimi bambini mendicanti. All’inizio non ci si stupisce, un paese povero con dei turisti, è facile trovare dei bambini per le strade che chiedono soldi.
La Cambogia esce da poco da una situazione infelice, pochi sanno davvero cos’è successo ai tempi di Pol Plot. Oggi, le conseguenze di quel triste capitolo di storia si vedono soprattutto sulle persone. La povertà ha costretto molte famiglie a mandare i propri figli a chiedere l’elemosina per portare a casa qualche dollaro. I bambini sono sottratti alle scuole gratuite, sono privati di un’istruzione che gli assicura un futuro lontano dalle strade. Evitare di alimentare questo sistema non è facile ma non impossibile. Ecco alcune buone norme da seguire per cercare di fare qualcosa di utile per il futuro di questo Paese:
Non solo i turisti possono fare scelte intelligenti, anche i professionisti del settore turistico possono fare la differenza, aderendo ai diversi programmi delle associazioni locali. Una di queste è The Code, impegnata a responsabilizzare chi offre turismo per garantire un network certificato di strutture e agenzie che lavorano nel rispetto dei più piccoli e delle comunità locali, soprattutto per tutelare i bambini contro lo sfruttamento sessuale.
Fortunatamente la Cambogia ha una grande ricchezza che porta il turismo abbastanza facilmente, generando così introiti sicuri. Quello che è difficile è assicurare che questi soldi siano ben investiti per arricchire le comunità locali. Grazie al complesso di Angkor, ogni anno arrivano a Siem Reap almeno un milione e mezzo di persone, che portano lavoro nei molti hotel e guesthouse che sono nati. A differenza della Thailandia, qui l’inglese è parlato da tutti. Trovare un alloggio economico con tutti i comfort è molto facile come girare per la città alla ricerca di ristoranti e locali per le serate.
Per la visita ai tempi suggerisco di affidarti a delle guide locale che rispettano i principi di turismo sostenibile. Tra questi c’è la neonata Personalized Cambodian Tours, nata dall’idea di una ragazza australiana e dai suoi amici cambogiani per offrire tour personalizzati alla scorperta della vera Cambogia, non solo Angkor. Interessante è anche la possibilità di dormire nei villaggi poco fuori Siem Reap, per vivere la realtà rurale e capire come vivono le persone davvero.
Dalle strade di Siem Reap si arriva qui, ad Angkor Wat, dove il tempo si è fermato. Le aspettative di chi arriva qui sono alte, perché da sempre i templi di Angkor sono sulla bocca di tutti, nelle pellicole dei film e negli occhi di molti. Avevo deciso di documentarmi il meno possibile per avere la sorpresa. La sorpresa più grande credo non sia stata la maestosità in sé, ma la scoperta che, dietro alla triste storia moderna di questo Paese ci sia un passato ricco, imponente e prestigioso cancellato in poco tempo dalla crudeltà dei Khmer Rossi. Templi enormi, statue misteriose, opere d’arte in pietra, strutture architettoniche di tutto rispetto, ancora lì, salde sul terreno per ricordare ai visitatori che la Cambogia è forte e indistruttibile, nonostante tutto. Nonostante la giungla, prima fatta da parte per accogliere lo sfarzo khmer e ora lì pronta a riconquistare il suo spazio. Nonostante la forza distruttiva della guerra che ha decapitato le statue del Buddha, eliminando ogni speranza.
Consiglio di non fermarti solo ai templi più vicini ad Angkor Wat, ma di proseguire verso il Beng Mealea, il tempio più lontano e più provato dalla forza della natura che l’ha distrutto, impossessandosi di quasi tutte le pietre. La magia che si respira qui è la stessa che ho trovato nel villaggio galleggiante sul lago Tonlé Sap, vicino Siem Reap. Una comunità vietnamita, trasferita qui a fine anni Settanta, dopo l'invasione dell'esercito vietnamita per spodestare Pol Pot. Tante piccole abitazioni su zattere abitate da famiglie numerose, che ogni giorno condividono questa vita tra terra e acqua, sospesi in una realtà parallela, pronti a seguire il volere della natura senza arrendersi mai.
A volte basta aprire gli occhi per accorgersi di quello che è dietro il turismo, occhi che molti non vogliono aprire per pigrizia o per disinformazione. Parlare solo di Angkor Wat non porta nulla di più, le informazioni turistiche per la visita ai templi sono reperibili ovunque. Credo sia più importante capire come vedere i tempi, con quali occhi e quali azioni fare una volta lì, per lasciare un segno grazie a delle scelte intelligenti.
IL MEKONG MINACCIATO DALLE DIGHE