GUJARAT, VEGETARIANO MA NON TROPPO

Nello Stato dell'India nord-occidentale in cui nacque il Mahatma Gandhi molte città vietano il consumo di carne e uova, ma il boom economico sta riducendo il numero di vegetariani.

Dopo settimane di cibo vegetariano, visti i guizzi nel canale, chiedo dove si può gustare del pesce. La mia domanda crea imbarazzo, risolto da un pellegrino che compra un dolce di riso, latte e zucchero, lo riduce in palline e lo sparge in acqua. Qui gli uomini non mangiano i pesci, li nutrono. Siamo a Dwarka, la cittadina sulla costa del Gujarat dove il mito indù vuole sia vissuto Krishna, il dio dalla pelle azzurra, volato qui con le sue seimila mogli da Mathura, la sua città natale in Uttar Pradesh. La saga che ha trasformato Dwarka in uno dei quattro cardini sacri dell’India: meta di pellegrinaggio d’ogni buon indù.

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VEGETARIANI PER LEGGE

A Dwarka dove Krishna è adorato in un tempio retto da sessanta colonne, come a Palitana (la montagna jainista), a Somnath (sede d’un santuario millenario che si vuole costruito dagli dei) e in altre cittadine sacre sparse nella penisola del Saurashtra, il consumo di carne e uova è vietato da leggi comunali. Mentre la macellazione dei bovini è punita da leggi statali.

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LA TERRA DEL MAHATMA GANDHI

Per storia e cultura il Gujarat è percepito come lo Stato più vegetariano dell’India, scrigno dei valori indù. Qui, a Porbandar, nacque il Mahatma Gandhi, il profeta della non violenza che nel suo percorso di verità e rinuncia, fu un vegetariano rigoroso: per avere minor impatto sulla natura, eliminò i latticini dalla sua dieta. Una scelta vegana fuori dai costumi indù: il latte  legato al mito Della creazione ed è prasad, cibo sacro. <La grandezza d’una nazione e il suo progresso morale possono essere valutati dal modo in cui vengono trattati i suoi animali> scrisse Gandhi, che ad Ahmedabad, la più popolosa città gujarata, su questi principi fondò il suo ashram.

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COMPASSIONE PER GLI ANIMALI

Il vegetarianesimo indù (come quello buddhista e jainista) nasce dall’estensione della compassione al mondo animale. In India essere vegetariani non è una scelta. Ogni indù (l'80% della popolazione) mangia solo quello che deve mangiare. Norme e divieti alimentari lo accompagnano fin dalla nascita. Se diventa vegetariano è perchè è nato in una famiglia con analoghi principi. Sono i paria (intoccabili) e le altre basse caste a macellare, vendere e consumare carne (ovini e pollame). I bramini, al vertice della piramide castale, s’astengono anche da vista e contatto con la carne: frutto di sofferenza e fonte d’impurità. Ci sono vegetariani ortodossi anche tra caste medio basse, come artigiani e agricoltori.

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LA PROTEZIONE DELLA MUCCA

Aldilà dei Veda (testo base induista) che pongono la vacca al vertice del mondo animale, in quanto dea-madre, ‘colei che nutre il mondo’ e simbolo della vita. È il mondo contadino a dare una spiegazione razionale alla sacralità bovina. Oggi le campagne del Gujarat sono piene di trattori, ma per millenni la mucca è stato il fulcro dell’economia rurale. I bovini aravano i campi e trasportavano il raccolto. Erano la fonte sicura di latte per nutrire i bambini. Ogni famiglia contadina ha ancora una coppia di bovini: sono la loro maggiore ricchezza, la loro morte è l'inizio della rovina. Se durante una carestia li si macella, si mangia subito ma non si avrà futuro. Meglio perdere un parente di stenti che abbattere l’animale che garantisce l’avvenire del clan. Mangiare la sua carne è un sacrilegio: i bovini sono parte della famiglia indù. Nelle feste vengono adornati con stendardi e ghirlande di fiori. E la nascita d’un vitello è celebrata con offerte agli dei, invocati anche per evitare che gli animali s’ammalino. In Gujarat le vacche anziane o malate sono ospitate in ricoveri, governativi e privati, questi ultimi finanziati dalle offerte dei fedeli: si trovano coloratissimi donation box su ghat (scale per abbluzioni), templi e alle casse dei ristoranti. E il Cow Protection Campaign Committee, promuove campagne e digiuni per la loro salvaguardia. Lo stesso Ghandi individuava nella protezione della vacca una delle più alte affermazioni di civiltà: <porta l'essere umano oltre i limiti della sua specie, afferma l'identità dell'uomo con tutto ciò che vive>.

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VEGETARIANI FIGLI DELLA NON VIOLENZA

Il vegetarianesimo origina dall’ahimsa, l’assenza di male e di violenza: principio portante della morale indù. Un concetto che affonda le radici nel periodo buddista (dal III secolo a.C. al IV secolo d.C). E diventa disciplina totale con l'affermarsi del jainismo, una fede - nata duemila anni fa dal <disgusto per il mondo materiale> come spiega il nuovo Jain Museum di Ahmedabad - che detta il totale rispetto per la vita e ha influenzato il Gujarat più d’ogni altro Stato indiano.

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FONDAMENTALISMO JAINISTA

Vegetariani intransigenti, i jainisti s’astengono dall'uccidere qualsiasi essere vivente. Coprono la bocca con una maschera per non ammazzare i microrganismi. Spazzano il selciato con uno scopino per non schiacciare gli insetti. Mangiano solo vegetali di cui si può cogliere il frutto senza far morire la pianta: nessuna radice. Non lavorano i campi per non ferire i vermi con la vanga: scelta che li ha trasformati in una setta elitaria, specializzata in artigianato e commercio, sono i più rinomati tagliatori di diamanti. Il loro maggiore centro è il monte di Palitana, dove 3300 gradini portano a un dedalo di cesellate colonne in marmo e pietra arenaria, a centinaia di cappelle che racchiudono sculture di divinità nude.

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SEMPRE MENO VEGETARIANI

Al di là della percezione, secondo il Registrar General of India, nel 2014 in Gujarat i vegetariani erano il 61,8% della popolazione (al nord e al confine col Pakistan sono in gran parte musulmani) contro la media nazionale del 28,85%. Ma - come ha evidenziato una recente inchiesta di The Times of India – oggi il Gujarat ha meno vegetariani dei vicini Rajasthan e Maharastra, anche a causa del boom economico che negli ultimi 20 anni ha secolarizzato parte delle nuove generazioni nelle grandi città.

Pubblicato su Azione (CH) il 13 marzo 2017

 

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